Nella vita come in viaggio le foto fermano momenti che desideriamo siano indimenticabili. Le foto appartengono e chi le scatta: in quel momento il suo occhio, ma anche la sua pancia e il suo cuore ci stanno trasmettendo qualcosa, spesso è inconscio e inspiegabile ma a qualcuno arriva con la potenza di uno schiaffo. A questo livello la parola diventa limitante mentre l’immagine, ci apre tutto un mondo: il mondo interiore del viaggiatore.
Durante il viaggio la macchina fotografica è compagna di avventure di molti, ma sappiamo davvero come usarla? Ci rendiamo conti che analizzando le foto che facciamo analizziamo noi stessi? Ci chiediamo perché stiamo facendo quello scatto, perché a quel soggetto e perché in quel momento? O siamo preda di un automatismo? E se non fotografiamo mai nulla, o se fotografiamo tutto più volte, ci siamo chiesti il perché?
Scattare una foto significa fermare un’immagine in un preciso momento, vuol dire che in quel momento scegliamo di rappresentare proprio quella porzione di realtà in quel modo, con quella luce. Vuole anche dire dare spazio alle proprie emozioni che in quel momento sono prevalenti scegliendo un soggetto piuttosto che un altro. La foto descrive ciò che siamo e come ci sentiamo.
Scattare foto in questo modo significa fare un grande esercizio di consapevolezza.
Per questo l’immagine ha una potenza così forte: ha il potere di suscitare emozioni, rappresenta una porzione fissa di mondo che però ha un prequel e un sequel, che racconta una storia, che è viva e che respira e che è, inevitabilmente, figlia di chi l’ha scattata.
Legate alla natura fisica del paesaggio o dell’insediamento umano, dell’animale come dell’uomo, ai nostri successi, alle nostre sofferenze e alle nostre gioie, la fotografia si trova in una posizione privilegiata per aiutare l’uomo a guardare se stesso, ad espandere e a preservare le proprie esperienze, a scambiare comunicazioni vitali. Uno strumento fedele di osservazione nel profondo di noi stessi.